Francesca Govoni, testoper UN COMUNQUE PAESAGGIO di Marinella Galletti presentazione Venerdì 3 Ottobre 2008, MUSEO MAGI900
Punto di partenza del percorso è la casa, luogo deputato degli affetti e luogo in cui si raccoglie l’io nella sua autonomia e nella sua solitudine.
Le pareti, che contengono e proteggono, rischiano di chiuderci dentro. Ecco la necessità di rendere elastiche le pareti, di superarne la rigidità: urgente nasce il bisogno di uscire fuori, nel mondo, per creare un’osmosi tra il dentro e il fuori. Ma subito si fa vivo il senso del limite: la natura umana non è libera nel suo espandersi, la parete fa da freno e ne è il limite.
Si susseguono immagini e parole che indicano movimento: i piedi che procedono, gli occhi che guardano, e in questo percorso si produce conoscenza, che andrà ad aggiungersi alla memoria precedente, costituendone la parte appena nata. "Allontanamento prospettico" : la nostra visione binoculare ci permette e ci obbliga a vedere in prospettiva, secondo un punto di vista, che in ogni momento è quello e non un altro, in ogni procedere si allontana dalla cosa esplorata, dalle persone incontrate, senza poterle trattenere: nasce il dolore.
"Avvicinamento di mezzi, roboante corsa,tre rapide fermate, movimenti modulati ma frequenti, flutti ondulati…" E’ una corsa frenetica, incalzante nell’ora chiara del mattino, in cui la mente è lucida, ma la fretta, la voglia di conoscere trasforma il mondo esterno in un oceano, la cui profondità ci spaventa e non ci rassicura…è una fretta allungata, che allunga la percezione nel desiderio di penetrare dentro alle cose: l’io del poeta vorrebbe abbracciare tutto, come il sole abbraccia e assedia il mondo: bellissima l’inversione di prospettiva: “Sole circondato dalle mie braccia e assediato”
Quando si giunge allo spasimo di questa ricerca, quando si sente la complessità del tutto e ci assale il dubbio intorno a ciò che si può trovare , ecco il distacco: “la mia vita come un cortometraggio da guardare”e dal distacco la riflessione, il punto centrale della poesia ”Ciò che è fuori,così è dentro”. E’ a questo punto che entra in scena il vero protagonista della vicenda, sottaciuto finora: il sé, l’io che agisce, che conosce , che apprende. Noi siamo ciò che apprendiamo, è il contatto col mondo che ci forma e ci fa essere e, affermazione inconsueta, anche il cuore, anche il sentire viene appreso: se non c’è "un fuoco acceso"accanto, non si apprende ad amare, non si forma in modo compiuto il sentimento.
Come per acuta nostalgia, quando si tocca il sentimento, il giorno dilegua.
Per indicare questo momento magico, si indica il “quando” in modo peculiare, isolando due versi, grammaticalmente sospesi, senza la proposizione reggente, dando così una rilevanza, un peso al momento in cui il giorno trapassa nella sera, facendoci inoltre percepire il legame tra poeti del passato, che tanto hanno amato la sera, e poeti del presente, che ancora oggi la sentono come analogia altamente significante. E con l’imbrunire, il dubbio diventa più fitto, la strada si perde e si trasforma in torrente di immagini, dove l’io continua ad annaspare instancabilmente. Si rende necessaria una nuova percezione, un nuovo metodo di indagine: se prima il percorso era da fuori a dentro, ora viceversa si parte da dentro, dalla memoria, che, frantumata nella molteplicità degli oggetti osservati, si ritrova e si unifica nell’io, ritornando nella sua casa, dentro pareti elastiche, entro le quali può finalmente definire in unità il panorama, esterno e interiore, in cui consiste in fondo l’ esperienza.