Fabio Michieli, recensione per EVA E ADAMO, pubblicata su Alleo n. 2/2009
“Percezione dell’esperienza d’amore”. Così recita il sottotitolo del libretto esile ma intenso che Marinella Galletti ha da poco pubblicato. Così si intitolava pure la personale tenutasi nel settembre scorso al Museo MAGI900 di Pieve di Cento (Bologna). Verrebbe da dire ut pictura poesis perché davvero i suoi versi sono cosa unica con le installazioni riprodotte nelle prime pagine. Colpisce subito il titolo: non più Adamo ed Eva, bensì Eva e Adamo a sottolineare che lo sguardo che discende sui versi è quello di Eva: «Ogni traiettoria del mio sguardo giunge al fuoco / delle cose e si fa immagine per sempre. / Guardare e divenire. Guardare ed essere. Un / oggetto, un tessuto lasciato sul divano, una tenda / alla finestra, anche un sacchetto di carta / appallottolato diventa oggetto della mia / coscienza. Diventa nuova conoscenza di me, / di come sono. Adesso» (p. 13). È altrettanto chiaro che questa volta Marinella Galletti ci conduce al limite estremo della poesia; quel limite che porta alla prosa; quel limite intuito come dice lei stessa (p. 15). Del resto un po’ ci siamo abituati a vedere nei suoi componimenti un doppio delle sue installazioni. Possiedono quasi la stessa forma e producono lo stesso effetto di sospensione, di attesa, di pausa, di riflessione. È una ricerca costante delle sfumature a dare voce ai sentimenti tra i due progenitori. E non c’è percezione del peccato; soprattutto di “quel” peccato calato sulla donna più per pregiudizio che per reale colpa: «Sento questo boato. / Calato e potente. Raccolto e compreso nel suono / della realtà, trasferito al frastuono delle / moltitudini come cosa ormai certa e allora / prediletta. Percorrendo la città e scoprendo che / ogni luogo è fatto per sostare. Sento molte voci. / Sento questa voce» (p. 14). E lo scavo prosegue di componimento in componimento dove il gioco di continui rinvii e riprese rende il macrotesto una sorta di monologo spezzettato eppur unitario. Gioco di specchi tra i due amanti che si riflettono occasionalmente in altre coppie incontrate; ma queste sono come ombre, destinate a scomparire, come certe luci fatue. «E poi sempre più consapevoli che ci siamo noi, / che è di noi che stiamo per occuparci. Nel / profondo della nostra consistenza, materialità e / psiche. Siamo qualcosa da vivere come un’ / esplorazione. Una situazione perfetta» (p. 16). E le conquiste di questa ricerca continua vengono scandite dai ricorrenti improvvisamente in apertura dei testi (in due casi siamo posti di fronte a due riprese lessicali anaforiche che rafforzano la struttura del macrotesto: «Improvvisamente io e lui ci amiamo. / Succede che siamo io e lui su questa spiaggia…», e «Improvvisamente io e lui ci amiamo. / Succede che siamo io e lui su questo campo…). È la scoperta dell’amore a segnare in profondità questo ciclo: piccoli gesti di una quotidianità apparentemente atemporale sottraggono con forza Eva e Adamo a un destino già scritto per riconsegnarli alla loro vita sentimentale; lo spazio circostante è la cornice dentro la quale loro due si muovono in simbiosi («io e lui» è l’endiadi erotica su cui ruota ogni cosa nei testi); lo spazio dove liberamente si consegnano all’amore: «L’amore mi sorprende e non so, assolutamente / non so se sapremo essere io e lui qualcosa di / reale, so soltanto che l’amore mi coglie abitando / la mia casa e invadendo la via. / L’amore visita il mio tempo presente. / L’amore supera ogni apprendimento. / L’amore accresce moltitudini nella città / restituendomi alla mia libertà» (p. 21). F