Se consideriamo la posizione delle artiste in termini di presenza ed influenza, il panorama internazionale offre il passo solo ad alcuni grandi nomi; la mancanza di informazioni sulle artiste interessa tutto il sistema dell’arte, ancor oggi gravemente lacunoso, richiederebbe la riscrittura dell’intera storia dell’arte, persino con riferimento a quelle artiste che sono state famose nella propria epoca ed oggi dimenticate!
Sebbene, dalla seconda metà del Novecento, si possa osservare che le artiste abbiano progressivamente cambiato la loro condizione, ponendo il riflettore su se stesse ed accrescendo la scena dell’arte, soprattutto negli ultimi anni, quello che si sta affermando è l’interesse per l’arte al “femminile”, alimentato dalla diffusione anche in Italia di movimenti e azioni internazionali di denuncia delle violenze esercitate in tutto il mondo contro le donne e sulle discriminazioni di genere. Gli effetti positivi risiedono nella generalità di pensiero sui “diritti” degli individui, pienamente condivisibili da tutto il mondo civile e interagenti nei vari ambiti culturali, ma è il mondo stesso della cultura ad essere solo vagamente consapevole che le discriminazioni causano insuccesso sul piano professionale per il pieno riconoscimento, sola relazione necessaria alle dinamiche sociali ed economiche affinché si possa incidere nella “storia”.
La scena artistica, pertanto, pur essendo ricca di proposte e di interpreti femminili, è favorita da istituzioni nel mondo dell'arte che promuovono e chiedono alle artiste una produzione dei “temi del femminile”, o di collegamento con quanto già prodotto dall’arte femminista a partire dagli anni Settanta, divenendo, femminismo e disuguaglianza, una sorta di imperativo nel panorama artistico, il cui obiettivo è il circoscrivere l’arte delle donne a un sottosistema dove la questione del “Genere” sia tema, soggetto ed esito. Persino alla Biennale di Venezia 2019, che per la prima volta chiama da esporre un numero importante di artiste assegnando loro premi, i temi impegnati sono quelli femministi di sempre.
Ben al di là del “genere”, ma in quanto arte materia-officina del pensiero e comunicazione nella propria epoca e per tutte le epoche, passato e presente, comprendiamo che la battaglia culturale, per il riconoscimento del lavoro delle artiste nella piena significazione del loro operato storico/artistico, richieda una sinergica rilettura, contestualizzazione, ricollocazione del loro operato nelle avanguardie di ogni epoca. Per raggiungere un così alto e onesto obiettivo, tra le tante azioni e studi che si rendono necessari ad opera delle istituzioni e dei singoli, esperti e docenti, occorre affermare un semplice ed elementare assunto, intrinseco all’arte: “l’arte non ha sesso”.
L'uso colpevole di "termini" costituisce un ricercato e voluto compromesso con il modello prevaricatorio. Riferire di “artiste donne” è discriminante, poiché a questo dovrebbe seguire il corrispondente “artisti uomini”, mai proposto nella storia delle espressioni linguistiche. Locuzioni di fatto improprie, nella semantica. Così come è discriminante fare riferimento a un’arte “al femminile”, con questo "gergo" si vuole rinviare a un campo specifico rispetto al quale porre un pregiudizio altrettanto "specifico e prevederne già i "contenuti". Ma qualunque siano i contenuti dell’arte, siano gli stessi temi considerati storici nelle espressioni delle donne, dell'intimo, del corpo e della condizione sociale, parlare di un'arte "al femminile" è discriminante, costituisce locuzione insinuante che la “vera” arte sia maschile, per la cui affermazione non occorra mediare, né menzionare “altro”, in quanto da sempre “già data”.
Per non sottovalutare il ruolo, nell'uso di terminologie, quanto mai complice della sottocultura delle discriminazioni, è d'obbligo liberare la lingua dal gergo sessista. Ad opera del mondo della cultura e di chi ha la responsabilità di presentare l’arte al mondo, al di là dei generi e delle divisioni, superando retaggi sociali che il passato ci ha lasciato.